Il libro nero – Orhan Pamuk

Rüya dormiva a pancia in giù nel buio dolce e tiepido

Incipit Il libro nero

Rüya dormiva a pancia in giù nel buio dolce e tiepido, sotto i rilievi, le valli ombrose e le delicate colline celesti dell’azzurra trapunta a quadri che copriva completamente il letto. Dalla strada giungevano i primi rumori del mattino d’inverno: il passaggio di qualche automobile e di vecchi autobus, lo sbatacchiare sul marciapiede dei bollitori in rame che il venditore di salep condivideva con il pasticciere, il fischietto del chiama-vetture alla fermata dei dolmus. Tende blu scuro affievolivano la luce plumbea che filtrava nella stanza. Galip, ancora pieno di sonno, guardò il viso della moglie che sporgeva dalla trapunta: il mento di Riiya era sommerso nel cuscino di piuma. Nella curva della fronte c’era qualcosa di surreale, che suscitava in lui un’ansiosa curiosità verso gli eventi meravigliosi che avevano luogo dentro quella testa. «La memoria – aveva scritto Celal in una delle sue rubriche – è un giardino». «Giardini di Rüya, giardini del Sogno… -si era detto allora Galip. – Non pensarci, non pensarci, altrimenti diventeresti geloso !» Ma Galip, osservando la fronte della moglie, non poté fare a meno di pensarci.
(La prima volta che Galip vide Rùya)

Incipit tratto da:
Titolo: Il libro nero
Autore: Orhan Pamuk
Traduzione: Semsa Gezgin
Titolo originale: Kara Kitap
Casa editrice: Einaudi

Libri di Orhan Pamuk

Copertine di Il libro nero di Orhan Pamuk

Quarta di copertina / Trama

In una Istanbul labirintica e malinconica descritta con straordinaria vivezza e precisione, un giovane avvocato, Galip, parte alla ricerca della moglie scomparsa. Prima di lasciarlo, Rüya ha scritto una lettera d’addio, e al di là delle diciannove, vaghe parole contenute nel messaggio, Galip è colpito dal fatto che la moglie abbia usato una biro verde. Una biro come quella che Galip aveva perso in mare quand’era bambino durante una gita in barca con Rüya, e che Celâl, fratellastro di Rüya, aveva inserito in una magistrale puntata della sua rubrica sul «Milliyet» dove immaginava tutti gli oggetti che sarebbero venuti alla luce «il giorno che il Bosforo andrà in secca». Tutto a Istanbul è inestricabilmente legato, e come in un sogno tutto può assumere un altro significato e ogni nome diventare pseudonimo. Celâl è un giornalista importante, amato e odiato, ma comunque molto letto. Dice di sé che avrebbe preferito occuparsi soltanto di argomenti solenni, battaglie decisive e amori infelici. Si ritrova invece a essere uno scrittore «pittoresco», impegnato in un’opera enciclopedica di ricostruzione della città, attraverso gli oggetti della modernità dai nomi occidentali e quelli polverosi e mezzi rotti della tradizione («le cose che ci siamo lasciati alle spalle»). Ma Celâl non può aiutare Galip nella sua indagine perché è scomparso anche lui. Il giovane avvocato s’improvvisa detective e cerca la moglie e il giornalista senza troppa convinzione, o forse con la paura di scoprire ciò che non vorrebbe mai venire a sapere. Forse il suo destino è già tutto contenuto nelle vecchie puntate della rubrica di Celâl, forse quei pezzi sul «Milliyet» contengono la storia presente e futura della città e di tutti i suoi abitanti. Pubblicato nel 1990 e tradotto in questa edizione per la prima volta dall’originale, Il libro nero è il romanzo con cui Orhan Pamuk si è imposto all’attenzione dei lettori di tutto il mondo. Conferendogli il Premio Nobel per la letteratura 2006, i membri dell’Accademia svedese hanno scritto che «Il libro nero è un’odissea attraverso un’Istanbul notturna piena di geni e presenze impalpabili, una città dove le storie inventate sembrano più credibili di quelle vere, e la verità è un’ombra sul muro».
(Ed. Einaudi; SuperCoralli)

Cronologia opere e bibliografia di Orhan Pamuk

Il mio nome è rosso – Orhan Pamuk

Adesso io sono un morto

Incipit Il mio nome è rosso

Adesso io sono un morto, un cadavere in fondo a un pozzo. Ho esalato l’ultimo respiro ormai da tempo, il mio cuore si è fermato, ma, a parte quel vigliacco del mio assassino, nessuno sa cosa mi sia successo. Lui, il disgraziato schifoso, per essere sicuro di avermi ucciso ha ascoltato il mio respiro, ha tastato il mio polso, mi ha dato un calcio nel fianco, mi ha portato nel pozzo e mi ha preso in braccio per poi buttarmici dentro. La testa me l’aveva già spaccata a colpi di pietra, e cadendo nel pozzo è andata in pezzi, la mia faccia, la fronte e le guance, è rimasta schiacciata, è scomparsa, le ossa si sono spezzate, la bocca si è riempita di sangue.
(Io sono il morto)

Incipit tratto da:
Titolo: Il mio nome è rosso
Autore: Orhan Pamuk
Traduzione: Maria Bertolini e Semsa Gezgin
Titolo originale: Benim Adim Kirmizi
Casa editrice: Einaudi

Libri di Orhan Pamuk

Copertine di Il mio nome è rosso di Orhan Pamuk

Quarta di copertina / Trama

Nell’inverno del 1591, dopo dodici anni di viaggi in Oriente, Nero ritorna a Istanbul e trova una città scossa da antiche inquietudini e nuovissime tentazioni. In gran segreto (ma ormai tutti lo sanno), il Sultano ha incaricato lo zio di Nero di realizzare un volume di disegni ispirandosi alle tecniche realiste occidentali. Nello stesso tempo i seguaci del predicatore di Erzurum girano di notte per le taverne e i caffè alla ricerca dei miniaturisti che, violando i precetti del Corano e tradendo gli antichi maestri, ritraggono il mondo e gli esseri viventi «come li vedono» e non «come li vede Allah».
Con il ritrovamento del cadavere di un doratore che lavorava per il libro di Zio Effendi, Nero è costretto a indossare i panni difficili dell’investigatore. Il premio per la soluzione dell’enigma sarà per lui la mano della bella cugina Seküre, che Nero ha amato fin da ragazzo e che è stata la causa del suo lungo esilio. Ma l’indagine fitta di tranelli e pericoli, che lo porterà fino al cuore delle stanze segrete del palazzo del Sultano, gli lascerà ferite profonde, non rimarginabili.
Romanzo d’amore, storia di intrighi e di misteri, questo nuovo straordinario romanzo di Orhan Pamuk restituisce la ricchezza e la malinconia di un mondo al tramonto. Nel contrasto tra i due vecchi miniaturisti, Zio Effendi e Maestro Osman, Pamuk riassume una discussione che continua ancora oggi nel mondo islamico, diviso tra modernità e tradizione. Da una parte, l’insegnamento di Maestro Osman per il quale lo stile personale, in un artista, è un difetto, una stupida e insolente vanità. Dall’altra, chi come Zio Effendi pensa che «ad Allah appartengono l’Oriente e l’Occidente. Allah ci protegga dai desideri di colui che è puro e non si è mescolato».
(Ed. Einaudi; SuperCoralli)

Cronologia opere e bibliografia di Orhan Pamuk

Istanbul – Orhan Pamuk

Fin da bambino

Incipit Istanbul

Fin da bambino, per tanti anni ho creduto che vivesse un altro Orhan, del tutto simile a me, un mio gemello, uno completamente uguale a me, in una strada di Istanbul, in un’altra casa simile alla nostra. Non mi ricordo dove e come ebbi per la prima volta questo pensiero. Molto probabilmente, il pensiero si era inciso dentro di me alla fine di un lungo processo, tessuto di incomprensioni, coincidenze, giochi e paure. Per poter spiegare cosa provavo quando questa idea mi balenava nella testa, devo raccontare uno dei primi momenti in cui l’avvertii nella sua forma più evidente.

Incipit tratto da:
Titolo: Istanbul
Autore: Orhan Pamuk
Traduzione: Semsa Gezgin
Titolo originale: Istanbul. Hatiralar ve Sehir
Casa editrice: Einaudi

Libri di Orhan Pamuk

Copertine di Istanbul di Orhan Pamuk

Quarta di copertina / Trama

Racconta Orhan Pamuk di aver vissuto fin dalla più tenera età nella convinzione che in un altro luogo di Istanbul abitasse un bambino identico a lui, un altro Orhan. Così, come in un gioco di specchi, Istanbul guarda verso l’Europa alla ricerca della città invisibile libera dalla miseria, tristezza e decadenza, forse una città che conservando un’identità orientale racchiuda qualità e successi dell’invidiato Occidente.
Tutto, nella città fantastica di Pamuk, si raddoppia: perfino lo sguardo che gli abitanti del Corno d’Oro gettano sulla propria vita cerca conferme e smentite nello sguardo giudicante degli occidentali, dai turisti ai grandi viaggiatori ottocenteschi, come Nerval, Gautier e Flaubert, affascinati e abbagliati dai miraggi dell’esotismo.
La tristezza che domina Istanbul, lo hüzün, che Pamuk descrive con geniale passione classificatoria, è una «condizione della mente che la città ha assimilato con orgoglio» e ha infinite forme e sfumature. Nasce dal declino dell’impero ottomano, dai sogni delusi di grandezza della Turchia moderna, dalle antiche rovine che le case hanno inglobato senza cancellare, dal legno delle vecchie costruzioni che si annerisce per l’umidità e il freddo. E si nutre di innumerevoli dettagli: le sirene dei battelli che urlano nella nebbia, i gabbiani immobili sotto la pioggia, i cantanti di terza classe che imitano le popstar americane e turche, e persino «le folle di uomini della mia infanzia, che tornavano a casa fumandosi una sigaretta dopo aver assistito a una delle partite di calcio della nazionale, sempre pesantemente sconfitta».
Tristezza che è bellezza, come scriveva Ahmet Rasim, uno dei numi tutelari della città di Pamuk. Gli scrittori non si stancano di cantare questa magia malinconica, forse per il senso di colpa di aver preferito la comodità moderna di un’Istanbul ormai occidentalizzata. La città che Pamuk continua ad amare resta quella della sua infanzia, «una fotografia in bianco e nero». Perciò i vecchi film e i disegni a chiaroscuro sono gli strumenti insieme più fedeli ed evocativi per rappresentarla (e il giovane Orhan, prima di decidere di fare lo scrittore, accarezzò a lungo l’idea di dipingere). Come la Recherche di Proust si può, volendo, riassumere in una frase («Marcel diventa scrittore»), così in Pamuk il destino di una città diventa il carattere del suo narratore. In questo senso, Istanbul è la storia di una vocazione.
(Ed. Einaudi; SuperCoralli)

Cronologia opere e bibliografia di Orhan Pamuk